(Cosimo Pulito)- pubblicato su “gazzetta ingenio” del 12/03/2020
Abstract
Il continuo rinvio alle norme di buona tecnica che fa il Codice di Prevenzione Incendi pone alcuni rilevanti problemi sia di natura giuridica sia di natura tecnica. Cosa comporta l’inosservanza di una norma tecnica? Lo stato dell’arte è disseminato in troppe pubblicazioni e la mancanza di un manuale o di una banca dati ove siano riportati i vari parametri sperimentali afferenti alla combustione ed alla trasmissione del calore rende sempre più complesso progettare e realizzare un’opera da costruzione conforme alle regole tecniche e alle norme tecniche.
Il Decreto del Ministro dell’Interno 03/08/2015 noto come “codice della prevenzione incendi” ha riformulato, in linea con gli sviluppi tecnologici e la regolamentazione internazionale, la prevenzione degli incendi intesa come valutazione dei rischi di incendio e come misure, provvedimenti, accorgimenti e modi di azione volti ad evitare l'insorgenza di un incendio e degli eventi ad esso comunque connessi e a limitarne le conseguenze.
Il passo avanti rispetto alla normazione tradizionale è molto ampio avendo modificato diversi concetti strutturati e solidificati nel tempo come ad esempio le dimensioni, la lunghezza ed il numero delle uscite per l’esodo legate a sperimentazioni del primo novecento, oppure la tematica del controllo dei fumi e del calore trascurata nella normazione tradizionale cosi come tanti altri aspetti che non cito per brevità.
La nuova regola tecnica, integrata dalle regole tecniche verticali, segnala, rimanda, raccomanda e richiama la normazione cosiddetta volontaria per la progettazione, la realizzazione e la manutenzione dei vari impianti ed apprestamenti e qui mi riferisco alle norme emanate da UNI, CEI, CEN, CENELEC nelle loro varie articolazioni, alle norme emanate da ISO, e persino alle norme emanate da NFPA, FM ed altre.
Tutti questi enti sono nati per standardizzare le misure e le prove per i prodotti allo scopo da renderne facile la manutenzione e la commercializzazione. Agli inizi del novecento, infatti, in pieno progresso tecnologico, si prospetta l’esigenza di favorire l’adozione di norme comuni sui processi produttivi, sui prodotti, sul disegno per consentire lo sviluppo del commercio sia a livello nazionale sia in quello internazionale.[1]
Nel 1901 in Inghilterra nasce l’Associazione Engineering Standards Committee divenuta in seguito il British Standards Institute (BSI). Analogamente nei principali stati industrializzati, sotto l’incalzare delle esigenze di avere forniture militari omogenee, sono fondate associazioni industriali per la standardizzazione, in seguito trasformate in Enti pubblici nazionali: in Germania la DIN (1917), in Francia la AFNOR (1918).
In Italia l’Associazione Nazionale fra gli Industriali Meccanici ed Affini diede vita alla UNIM, Unificazione dell’Industria Meccanica (1921). Nel 1930 l’UNIM si trasformò in UNI, Ente Nazionale per l’Unificazione nell’Industria.[2]
Sempre agli inizi del XX secolo videro la luce anche le prime istituzioni internazionali di unificazione; in America nel 1906 la IEC (International Electrotecnical Commission) per il settore elettrico e nel 1927 l’ISA (International Federation for Standardizing Associations) per tutti gli altri settori. Quest’ultima, insieme al UNSCC (United Nations Standards Coordinating Committee) sorto nel 1944, diede vita nel 1947 all’attuale ISO (International Standardization Organization) con sede a Ginevra.
Con l’avvio, nel 1951, della Comunità Europea e l’unificazione del mercato interno, si crearono le premesse per la nascita di un organismo europeo per la standardizzazione: il CEN (Comité Européen de Normalisation) che nacque a Parigi nel 1961. Dal 2008 comprende 30 paesi membri, e le norme EN hanno la prerogativa di sostituire le norme nazionali emanate in un determinato settore agendo su un mercato di circa 500 milioni di persone. A fianco del CEN la Comunità Europea ha anche costituito due altri istituti di normazione, il CENELEC per il settore elettrotecnico e l ’ETSI per telecomunicazioni.
Le norme EN riguardano tutti i settori: costruzioni, trasporti, meccanica, servizi, salute, ambiente, sicurezza, ecc.
Come già accennato il 23 febbraio 1947, 26 paesi fondarono l’International Organization for Standardization abbreviato in ISO, che subì una forte accelerazione agli inizi degli anni novanta, quando prese avvio la cosiddetta «globalizzazione», cioè una forte liberalizzazione ed integrazione dei mercati internazionali: oggi i paesi aderenti all’ISO sono 164.
La differenza importante delle norme EN rispetto a quelle ISO risiede nel fatto che gli organi di normazione nazionale (dei paesi dell’Unione Europea) devono obbligatoriamente recepire le norme EN e ritirare le proprie normative nazionali sullo stesso argomento, cosa che invece non vale per le norme ISO.
Si assiste comunque ad una graduale ma inevitabile sostituzione delle norme nazionali a favore di quelle europee ed anche delle norme ISO in tutti quei casi dove vi è un interesse per il mercato su scala internazionale.
Infatti, nel 1991, a Vienna, è stato firmato un accordo di cooperazione tra ISO e CEN per l’elaborazione comune di norme (EN ISO) e di adozione da parte di CEN delle norme ISO. Attualmente circa il 30% delle norme EN coincidono con quelle ISO.
Profondo è quindi l’apporto che la standardizzazione e la conseguente normazione nazionale, europea ed internazionale hanno portato alla industrializzazione dei Paesi ed allo sviluppo del commercio internazionale.
UNI - norma nazionale italiana elaborata dall’UNI
EN -norma europea elaborata dal CEN
UNI EN - norma europea EN recepita (obbligatoriamente) a livello italiano
ISO - norma internazionale elaborata dall’ISO
UNI ISO - norma elaborata dall’ISO e adottata in Italia
EN ISO - norma pubblicata dal CEN e identica ad una norma ISO
UNI EN ISO - norma internazionale elaborata dall’ISO, adottata dal CEN e di conseguenza recepita obbligatoriamente dall’Italia
Prima di andare avanti è utile richiamare la distinzione tra regole tecniche e norme tecniche. In ossequio al codice di prevenzione incendi intenderemo per “Regola Tecnica” una disposizione regolamentare cogente in materia di prevenzione incendi mentre intenderemo per “Norma Tecnica[3]” una specifica tecnica adottata da un organismo di normazione riconosciuto, per applicazione ripetuta o continua, alla quale non è obbligatorio conformarsi.
Le regole tecniche sono emanate dall’Amministrazione Pubblica e nel caso della sicurezza antincendi dal Ministero dell’Interno e sono cogenti ossia è obbligatorio conformarsi mentre le norme tecniche sono emanate dagli Enti di normazione sopra indicati alle quali non è obbligatorio conformarsi.
Questo assunto, chiaro nella sua definizione, ha subito negli anni una concreta trasformazione nel senso che nel settore della sicurezza le norme tecniche, molto spesso, assumono la valenza di norme obbligatorie.
Il problema risiede nel fatto che le norme tecniche, sebbene volontarie, devono essere considerate all’interno del complesso mondo giuridico che le lega e le integra alla legislazione obbligatoria[4] [5]
Vi sono diverse modalità in cui opera tale legame.
Un primo caso, abbastanza frequente, è il rinvio che viene fatto dalla “regola tecnica” alla norma tecnica. In questo caso la norma tecnica acquisisce la natura vincolante della norma cogente che la richiama e, se quest’ultima è sanzionata penalmente o amministrativamente, la mancata osservanza della norma tecnica potrà determinare l’attribuzione di tale sanzione. Vari sono i rinvii che fa sia il dlgvo 81/2008 sia il Codice di Prevenzione Incendi alle norme tecniche.
Altro caso, di natura più generale, è il rinvio alla “tecnica” operato dall’articolo 2087 c.c.
L'art. 2087 del codice civile stabilisce l'obbligo della massima sicurezza tecnologicamente fattibile a carico del datore di lavoro ed afferma che “l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”
Se, quindi, le norme tecniche riproducono il cosiddetto “stato dell’arte”, la cui applicazione contribuisce a realizzare la massima sicurezza tecnologicamente fattibile, il richiamo fatto dall’art. 2087 cc tende a renderle di fatto obbligatorie. In uno dei passi della sentenza di primo grado sul caso Thyssen Group a Torino il giudice afferma che le norme tecniche riproducendo “lo stato dell’arte” costituiscono il contenuto preciso del rinvio alla “tecnica” ed alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico.[6]
La sentenza della corte d’assise di Torino con le conseguenze che essa comporta sul piano dell’interpretazione e quindi dell’applicazione ed obbligatorietà delle norme tecniche fa sorgere alcuni interrogativi:
a) chi fa in concreto le norme tecniche;
b) qual è il grado di diffusione e di conoscenza delle norme tecniche.
c) quale grado di libertà è consentito nel non osservare le norme tecniche.
Il mondo della normazione afferma di agire secondo le seguenti regole:
• consensualità: la norma deve essere approvata con il consenso di tutti coloro che hanno partecipato ai lavori di elaborazione;
• democraticità: tutte le parti economico-sociali interessate possono partecipare ai lavori e soprattutto chiunque è messo in grado di formulare osservazioni nel processo che precede l'approvazione finale;
• trasparenza: l'ente di normazione segnala le tappe fondamentali del processo di approvazione di un progetto di norma, tenendo il progetto stesso a disposizione degli interessati.
Andrebbe forse indagato se nella concreta elaborazione di tali norme siano presenti tutti i portatori di interesse siano essi di tipo particolare siano essi di tipo diffuso perché un fatto è riconoscere un diritto altro è se ci sono le condizioni per esercitarlo.
Sulla conoscenza delle norme và segnalato che esse sono divulgate attraverso gli stessi Enti di normazione il cui accesso avviene attraverso un contributo economico talvolta anche rilevante. È del tutto particolare la circostanza che norme che possono avere rilevanza penale siano conoscibili solo a pagamento.
Alcuni, non convinti delle argomentazioni che sono state sopra riportate, sostengono che il rispetto delle norme tecniche sia solo presunzione di rispetto della regola dell’arte e che vi sia libertà di non rispettarle se si è capaci di dimostrare, su un fatto tecnico, di avere un proprio standard. Tale affermazione ha una sua consistenza, ad esempio, nel campo delle aziende petrolchimiche ove da vari decenni sono state sperimentate ed attuate procedure e standard derivanti dalla pratica aziendale che sono state codificate in un proprio corpus tecnico, ma è sicuramente sbagliata quando si parla del mondo delle piccole e medie aziende o ancora meglio degli studi professionali ove le singolarità non possono costituire standard di riferimento e la libertà per raggiungere la “ buona tecnica” consiste nella possibilità di riferirsi ad un organismo riconosciuto ( NFPA, FM, DIN, BS……).
Questa breve disamina ci consente di affermare che il passaggio culturale ed applicativo insito nel Codice di Prevenzione Incendi è molto più profondo di quanto possa apparire ad una prima lettura ed occorre fare attenzione a possibili insidie. Infatti, sebbene il codice agisca a legislazione invariata, nel senso che sia l’art. 2087 cc sia la normazione tecnica erano già presenti agli inizi degli anni settanta, la novità, per alcuni aspetti dirompente, è quella di richiamare questi vincoli normativi in maniera sistematica e stringente rendendo quindi la progettazione e la realizzazione delle misure antincendio molto più complessa e difficoltosa rispetto al recente passato ed al cosiddetto giudizio esperto.[7]
A solo titolo di esempio di quanto appena rappresentato voglio riportare un’esperienza di cui ho conoscenza diretta. Si consideri un magazzino meccanizzato autoportante normalmente utilizzato per il deposito di merce. Il codice prevede:
a) che se dovesse crollare a causa di un incendio non deve danneggiare fabbricati o opere interne alla proprietà o esterne (criterio dell’implosione)
b) che la distanza minima da altri fabbricati deve consentire al massimo un flusso termico non superiore a 12,6 KW/mq
Di solito questi magazzini sono abbastanza alti e nel nostro caso è alto 20 m e che si debba rispettare una distanza di 20 m da un fabbricato esterno alla proprietà. Il codice consente una verifica tabellare d= αpi xβi dove pi è percentuale di foratura della cosiddetta piastra radiante e α e β sono coefficienti tabellari dipendenti dalle dimensioni del magazzino e dal carico di incendio. Supponiamo che tale verifica non sia soddisfacente e si passi alla procedura analitica che già presenta qualche complessità. Entrambi questi metodi però sono estremamente conservativi. Supponiamo che si voglia affinare il calcolo e ci si addentri nell’Eurocodice EN 1991-1-2: a questo punto, per affrontare il tema, bisogna esseri freschi di laurea ad indirizzo energetico ed essere capaci di rintracciare dati nella bibliografia quasi interamente in lingua inglese. Diventa, invece, praticamente impossibile affrontare il calcolo della implosione della struttura se non si è ingegnere civile ad indirizzo strutturale con una buona pratica in materia e dotato di complessi e costosi programmi informatici.
Ma andando avanti nella valutazione del nostro magazzino autoportante emerge la necessità di proteggerlo con un impianto di controllo/spegnimento che consente di poter rispettare il vincolo dell’irraggiamento termico di 12,6 kW/mq. A questo punto sorge un nuovo problema: l’impianto di protezione deve essere a disponibilità superiore e quindi va fatta la valutazione degli stati degradati dell’impianto stesso. Valutare lo stato degradato di un impianto significa valutarne la eventuale indisponibilità sia per guasto sia per manutenzione. Il codice indica dei criteri molto generali per la verifica di un impianto a disponibilità superiore quali l’uso di componenti a minor rateo di guasto, riduzione tempi per il ripristino dei guasti ed altro e indica come riferimento la norma UNI 13306 e la norma NFPA 25. Tale metodologia sembra essere stata mutuata da quella sui rischi di incidenti rilevanti (dlgvo 105/2015) riferita soprattutto agli impianti di processo ove le conseguenze di un incidente possono essere “rilevanti”.
Concludendo questo esempio non c’è chi non veda la forte differenza tra il passato ed il presente. Nel passato un magazzino autoportante si sarebbe considerato un contenitore a bassissima probabilità di accadimento di incendio in quanto l’unica attrezzatura in movimento che potrebbe generare calore di ignizione sono i traslo-elevatori.
In relazione all’elevato carico di incendio si sarebbe prevista l’installazione di un impianto di spegnimento automatico.
Quello che appare evidente è che nella normativa attuale è stata introdotta una complessità valutativa di tipo quantitativo che a parere di chi scrive è eccessiva e poco si lega all’analisi storica degli incidenti ed all’accettabilità del rischio ma, soprattutto, rischia di far passare in secondo piano lo sforzo fatto nella redazione del Codice di Prevenzione Incendi che ha posto tra i suoi obbiettivi principali la semplicità: laddove esistano varie possibilità per raggiungere il medesimo risultato si prediligono soluzioni più semplici, realizzabili, comprensibili, per le quali è più facile la manutenzione.
C’è quindi la necessità, dopo questi primi cinque anni di applicazione e della prima revisione del codice che ha ancora di più ingegnerizzato la prevenzione incendi, di un’attenta riflessione del suo stato applicativo e delle difficoltà incontrate per meglio ancorarlo ai suoi obbiettivi iniziali e si voti ad una maggiore semplificazione nell’individuazione delle misure per prevenire gli incendi. Il passaggio dalla normazione tradizionale, cioè quella prescrittiva, al codice non è dovuto al mancato raggiungimento di adeguati livelli di sicurezza antincendio nel Paese quanto di fornire uno strumento più snello, più agile e più semplice per conseguire analoghi livelli di sicurezza. La riduzione degli oneri regolatori (regulatory costs) era l’impegno che fu preso nella redazione del codice di prevenzione incendi.
C’è bisogno, quindi, da un lato di equilibrare il rapporto con gli Enti di normazione tecnica nello stabilire i confini tra regola e norma tecnica indicando in maniera chiara le possibili diverse modalità di raggiungimento della buona tecnica. Dall’altro è necessario realizzare e rendere fruibile una banca dati nazionale sulle sperimentazioni sul fuoco che sintetizzi tutti quei parametri[8] sparsi in norme tecniche e pubblicazioni americane, inglesi e qualche volta nazionali la cui conoscenza è diventato il vero spartiacque tra i professionisti.
Il codice di prevenzione incendi è senz’altro lo strumento più moderno e razionale per affrontare la prevenzione incendi ma bisogna fare attenzione alle inutili complessità cercando di differenziare i casi particolari ove le calcolazioni ingegneristiche e le simulazioni informatiche possono essere necessarie da quelli più frequenti ove sono sicuramente sovrabbondanti: problema non risolto dalla possibilità di ricorrere alle soluzioni conformi o alternative.
Vorrei concludere queste sintetiche riflessioni con una celebre esortazione manzoniana: "Pedro, adelante con juicio”.
Bibliografia:
R. Dubini: Articolo 2087 del codice civile. L’obbligo del datore di lavoro di attenersi al principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile. Sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale, Punto Sicuro 2019
C. Pulito, La gestione della sicurezza, aspetto qualificante del passaggio tra sistema prescrittivo e prestazionale, Antincendio 12/2016
Anna Guardavilla, Le norme tecniche, definite non obbligatorie dal Testo Unico, sono volontarie sempre e comunque? I diversi “gradi” di vincolatività delle norme tecniche nei diversi casi: dalla volontarietà all’obbligatorietà, Punto Sicuro 11/2016
Fabio Pontrandolfi, Principio di legalità e normativa di sicurezza , Ambiente & Sicurezza sul Lavoro, 06/2016
F. Dattilo, C. Pulito e altri, Codice di Prevenzione Incendi Commentato, EPC 2015
F. Dattilo, M. Cavriani e altri, Codice di Prevenzione Incendi Commentato EPC 2019
C. Pulito, La valutazione del rischio alla base del sistema di prevenzione incendi, Antincendio 2/2004
Autore:
ing. Cosimo Pulito
[1] Talvolta furono eventi catastrofici ad accelerare il processo di standardizzazione. Nel 1904 a Baltimora si sviluppò un incendio che non fu possibile domare, nonostante l’intervento di pompieri dalle città vicine, perché gli attacchi delle loro pompe antincendio avevano dimensioni diverse da quelle locali. Le molte vittime e i danni notevolissimi suscitarono una grande impressione che portò ad interventi dello Stato, per la unificazione delle attrezzature dei pompieri
[2] UNI - Ente Italiano di Normazione - è un'associazione privata senza fine di lucro fondata nel 1921 e riconosciuta dallo Stato e dall'Unione Europea. Studia, elabora, approva e pubblica le norme tecniche volontarie - le cosiddette "norme UNI" - in tutti i settori industriali, commerciali e del terziario (tranne nei settori elettrico ed elettrotecnico)
[3] La definizione più efficace di Norma tecnica è probabilmente quella che ne hanno dato gli stessi Enti Normatori Europei, e che è contenuta nella Norma congiunta CEI UNI EN 45020: “Per Norma, si intende un documento prodotto mediante consenso e approvato da un organismo riconosciuto, che fornisce, per usi comuni e ripetuti, regole, linee guida o caratteristiche relative a determinate attività o ai loro risultati, al fine di ottenere il miglior ordine in un determinato contesto”.
La stessa Norma citata specifica inoltre che una norma deve basarsi su comprovati risultati scientifici, tecnologici e sperimentali e mirare alla promozione dei migliori benefici per la comunità
[4] Rolando Dubini : Articolo 2087 del codice civile. L’obbligo del datore di lavoro di attenersi al principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile. Sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale “ In materia di tutela del lavoratore, il sistema legislativo prevede che “sul datore di lavoro gravano sia il generale obbligo di neminem laedere, espresso dall'art.2043 c.c., la cui violazione è fonte di responsabilità extra-contrattuale, sia il più specifico obbligo di protezione dell'integrità psico-fisica del lavoratore sancito dall'art.2087 c.c. ad integrazione ex lege delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, la cui violazione è fonte di responsabilità contrattuale; sicchè il danno biologico, inteso come danno all’integrità psicofisica della persona in se considerato, a prescindere da ogni possibile rilevanza o conseguenza patrimoniale della lesione, può in astratto conseguire sia all'una che all'altra responsabilità.
A tale conclusione deve pervenirsi considerando che l'integrità psicofisica e morale dell'individuo trova riconoscimento giuridico non solo quale interesse tutelato da leggi ordinarie (si pensi agli artt. 581, 582, 590 e 185 c.p. o alÌ’art.5 c.c.) e da leggi speciali (come l'art.9 dello statuto dei lavoratori) , ma addirittura da norme di rango costituzionale, quali quelle contenute nell'art.32 Cost. che garantisce la salute come fondamentale diritto dell'individuo, nell'art.41 che pone precisi limiti all’esplicazione dell'iniziativa economica privata stabilendo, fra Ì altro, che la stessa non può svolgersi "in modo da arrecare danno alla dignità umana e nell'art.2 che tutela i diritti inviolabili dell'uomo anche "nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità" e richiede l'adempimento dei doveri di solidarietà sociale” [Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 2 maggio 2000 n.5491].
L’articolo 2087 del Codice Civile è “cristallino e reciso nell’intimare all’imprenditore un impegno [per la sicurezza del lavoratore - n.d.r.] spinto fino agli ultimi confini tracciati da particolarità del lavoro, esperienza e tecnica” (Raffaele Guariniello, Se il lavoro uccide, Einaudi, Torino 1983, pag. 103].
Tale indicazione è “di pregnante spessore ermeneutico, adatta a fungere da irrinunciabile chiave di lettura delle singole norme” in materia di igiene e sicurezza del lavoro (op. cit.)
Questo perché “nel crogiolo dell'art. 2087 c.c.” “a segnare lo spartiacque tra “possibile” e “impossibile” interviene lo stato di avanzamento della tecnologia prevenzionale (riferita, naturalmente, alla particolare lavorazione e filtrata dalle esperienze condotte in passato)”: “si delinea, così, un principio cardinale dell’intero sistema preventivo italiano, la massima sicurezza tecnologicamente fattibile” (Guariniello, op. cit. pagg. 101-102).
[5] Art. 43 c.p. : ……. Il delitto è colposo . o contro l’intenzione , quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline
[6] “ Illuminante in questo senso è la sentenza di primo grado sul caso Thyssen (Trib. Torino, Corte d’Assise, 15 aprile 2011), che, di fronte alle argomentazioni della difesa che lamentava le difficoltà legate al dare adempimento all’obbligo previsto dall’articolo 2087 c.c., dapprima premette che “la Corte non ignora una ipotizzabile difficoltà, per il datore di lavoro, di conoscere effettivamente come comportarsi […] a fronte di un dovere generale di solidarietà e di una espressione di ampio contenuto quale quella di cui all’art. 2087 c.c. […].”
Ma poi aggiunge che “il dovere generale di tutela, derivante dalla Costituzione e dall’art. 2087 c.c., funge da - elementare, ma altrettanto fondamentale - criterio interpretativo per tutta la legislazione in materia di sicurezza e di salute dei lavoratori, a cominciare dal D.Lgs 626/94 (ora D.Lgs. 81/08) - v. nelle prioritarie enunciazioni […] “misure generali di tutela” - passando per i decreti ministeriali, per giungere alle norme “tecniche” le quali ultime, riproducendo lo “stato dell’arte” (nel nostro caso, relativo alla materia di prevenzione antincendio), costituiscono il “contenuto” preciso del rinvio alla “tecnica” ed alle “conoscenze acquisite in base al progresso tecnico” come indicate all’art. 2087 c.c. e all’art. 3 D.Lgs 626/94.” [Ora art. 15 c. 1 lett c).D.Lgs. 81/08.]
Dunque - secondo la sentenza torinese - le norme tecniche, riproducendo lo “stato dell’arte”, costituiscono il “contenuto” preciso del rinvio alla “tecnica” operato dall’articolo 2087 del codice civile, quale norma di chiusura del sistema prevenzionistico, ed anche - per un principio di continuità normativa con l’art. 3 dell’abrogato decreto 626 - del rinvio che l’attuale art. 15 del D.Lgs.81/08 (“misure generali di tutela”) fa alle “conoscenze acquisite in base al progresso tecnico” allorché tale norma impone “l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico”.
Da questa pronuncia, si desume come - allorché ci si trovi a ragionare sulla prevedibilità o meno di un evento e quindi in ordine alle responsabilità di chi era tenuto a prevederlo e prevenirlo - la presenza o meno di norme tecniche in un certo settore o ambito possa fungere da spartiacque (o sia comunque uno degli elementi tali da fare da spartiacque) tra ciò che è prevedibile e ciò che non lo è. Anna Guardavilla, Le norme tecniche, definite non obbligatorie dal Testo Unico, sono volontarie sempre e comunque? I diversi “gradi” di vincolatività delle norme tecniche nei diversi casi: dalla volontarietà all’obbligatorietà, Punto Sicuro 11/2016
[7] Già il D.M. 20/12/2012 aveva prescritto l’obbligo di progettazione, installazione, esercizio e manutenzione degli impianti in conformità alla regola dell’arte
[8] Dopo la realizzazione a cura dell’INAIL, con la partecipazione dell’Università La Sapienza di Roma, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco ed il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, dei quaderni sulle singole misure del Codice di Prevenzione Incendi è il momento di realizzare un vero e proprio manuale (handbook) di prevenzione incendi in sui siano ripresi e sintetizzati i vari parametri, spesso di origine sperimentali, sulla combustione e sulla trasmissione del calore disseminati in varie pubblicazioni americane e inglesi.