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Lo Stato della Prevenzione Incendi all'Alba del Novecento

“Historia magistra vitae” 

 

Il 12 e 13 gennaio 2019, si è tenuto a Torino un convegno dal titolo I Concorsi-Convegni Pompieristici tra il 1800 e il 1900, un interessante tavolo di lavoro organizzato, oltre che dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, dalle associazioni di categoria che da anni collaborano con il Comando: l’Associazione Pompieri Senza Frontiere e l’Associazione Per la Storia dei Vigili del Fuoco. L’organizzazione ha visto anche la fondamentale partecipazione dell’Archivio Storico VVF di Torino.

 

L’articolo che segue è la sintesi del mio intervento “Lo stato della prevenzione incendi all’alba del novecento”, e ritengo utile seguire alcuni tratti del percorso storico della prevenzione degli incendi poiché nei momenti di cambiamento, come quelli che si sono ottenuti con l’emanazione del DPR 151/2011 “Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi” e del D.M. 03/08/2015 “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi”, si corre il rischio, soprattutto nelle nuove generazioni, di credere che il mondo della prevenzione incendi sia iniziato con questi provvedimenti; un rischio che tende a far dimenticare tutto quello che c’era prima ed il lungo cammino che ha portato ai risultati attuali.

La prevenzione incendi ha una lunga storia che inizia in epoca romana e con alterne vicende continua nei giorni nostri e nel mio breve intervento fatto in seno al convegno, ho riportato alcuni aspetti di grande interesse, come le prime considerazioni sul panico indotto dagli incendi, la necessità di organizzare il sistema di esodo, nonché l’esigenza della sorveglianza e della manutenzione degli impianti per averli disponibili quando sono necessari, nozioni molto attuali.

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1823 - L’incendio della basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma

Un grande incendio che certamente ha influenzato la storia della prevenzione incendi, avvenne nella notte del 15 luglio 1823 a Roma, tanto violento da distruggere la Basilica di San Paolo Fuori le Mura, un gravissimo evento ricordato da Stendhal come "un infausto avvenimento".

Un incendio progredito rapidamente con la sua potenza distruttiva per vari fattori concomitanti: dal legno resinoso di abete delle travi del tetto, all’assenza di manutenzione; dall’ubicazione della Basilica alla mancanza di sorveglianza; dall’allarme tardivo alla lontananza della caserma dei Vigili del fuoco.

I motivi ai quali fu ricondotta una propagazione tanto veloce del fuoco furono cosi individuati:

-          la grande estensione del tetto, con travi in legno;

-          il fatto che il legno che costituiva le travi era di abete e quindi di tipo resinoso;

-          l'assenza di manutenzione: paglia e nidi di uccello depositati negli interstizi tra tegole e tetti e tra il compost e le travi, aumentava il rischio di incendio;

-          l'assenza di sorveglianza: l'ubicazione della Basilica in un'area quasi deserta e malsana costringeva i sacerdoti a lasciare l'edificio tra giugno e settembre per sfuggire alla malaria.

Il disastro generò però un processo virtuoso, poiché Papa Pio IX chiese all'architetto Luigi Poletti di proteggere la basilica con un sistema antincendio in grado di limitare i rischi legati alle condizioni che nella notte del 15 luglio 1823 avevano consentito alle fiamme di crescere e svilupparsi in modo violento e senza un immediato sistema o servizio di rilevazione.

L'architetto Poletti ricevuto l’incarico di progettare la ricostruzione della Basilica, chiese al Padre gesuita Angelo Secchi, scienziato e astronomo e al fisico meccanico Giacomo Luswergh, di aiutarlo nella stesura del progetto del sistema antincendio richiesto dalla Curia. Una decisione molto innovativa, come innovativi furono sia la trasversalità delle competenze professionali coinvolte nel progetto del sistema antincendio, sia il ricorso alle tecnologie impiegate: i sensori di temperatura, la rete di vasche di accumulo dell'acqua, le tubazioni e le pompe antincendio, il telegrafo posto nella casa del guardiano della Basilica e, pochi anni dopo, il collegamento telefonico con il Corpo dei Pompieri di Roma.

Prese così forma il primo impianto automatico di rilevazione e allarme incendi al mondo. La realizzazione del sistema antincendio per la Basilica di San Paolo ha segnato l'inizio di un nuovo capitolo della moderna tecnologia antincendio ma soprattutto è nato un metodo di approccio pluridisciplinare alle problematiche antincendio e del soccorso

 

1936 - L’incendio del Teatro Regio di Torino

Era la notte dell’8 febbraio 1936, quando il Teatro Regio di Torino, uno dei simboli del patrimonio architettonico italiano, subì un gravissimo incendio che lo distrusse quasi completamente.

Poco dopo la mezzanotte, esattamente alle ore 00,49, al centralino telefonico della Caserma dei Pompieri di Porta Palazzo, giunse una chiamata per un incendio al Teatro Regio di Torino. Il rogo fu spento intorno alle 4 del mattino e del Regio rimasero in piedi solo i muri.

L’intervento di salvataggio venne definito dalla cronaca di quei giorni, eroico e ardimentoso a causa delle difficilissime condizioni nelle quali si trovarono ad operare i pompieri. Scrive la Stampa: «… così il salvataggio fu compiuto, in modo rapido e coraggioso. I pompieri si sono comportati, fedeli alle loro tradizioni, superbamente. Con coraggio inimitabile si son lanciati sui tetti pericolanti, hanno sfidato le fiamme entro cui trascorrevano per portare più oltre i torrenti d’acqua rovesciati dagli idranti, hanno dato, in una parola, una magnifica dimostrazione di perizia, di valore, di sprezzo della vita».

Ma lascio la descrizione dell’evento al Comandante del Corpo Pompieri di Torino: ing. Giulio Viterbi, che in una sua relazione ricostruisce non solo l’evento, ma aggiunge alcune sue amare considerazioni:

“I teatri vengono costruiti per offrire spettacoli al pubblico, e quando bruciano offrono ancora per l’ultima volta un episodio dell’Eterna Commedia della Vita.

Il Teatro Regio di Torino non è più, e intorno alle rovine fumanti i cittadini piangono, le Autorità ricercano le cause e le responsabilità, i giornali quotidiani fanno festa con abbondante e interessante materiale di cronaca.

L’interesse dei Pompieri e dei Comuni spinge a visite istruttive di valenti funzionari delle principali Città.

Il Comandante dei Pompieri di Torino manda a «Il Pompiere Italiano» una relazione ricca di grafici e di fotografie.

I Pompieri italiani e stranieri leggono e commentano in attesa di altre relazioni, di altri incendi in altre Città.

In qualche altro teatro si apportano perfezionamenti alle previdenze contro gli incendi suggerite o ricercate per tema che esso subisca la stessa sorte.

Il Teatro Regio verrà ricostruito sulle sue rovine, fondate 200 anni or sono, più moderno, più sicuro.

Un passante, visti i bagliori di fiamme attraverso le finestre dell’edificio, ne ha avvertito il custode, questi i Pompieri, e quest’ultimi, impotenti a spegnere l’incendio, hanno data la precedenza all’isolamento salvando del teatro tizzoni inservibili.

Sono rimasti in piedi i muri, mentre le coperture furono fortemente danneggiate.

Il presidente della Società che gestisce il teatro, ne era uscito per ultimo alle ore 0,35. Alle 0,49 i Pompieri venivano avvertiti, e superata la distanza di circa 500 metri trovavano il fuoco troppo esteso per poterlo vincere con una sola squadra di 10 uomini, mentre altra squadra provvedeva contemporaneamente ai salvataggi con autoscala. Le squadre sopraggiunte di rinforzo trovavano il fuoco tenuto a bada dalla prima, ma ormai troppo esteso.

Interessante la rapidità di propagazione del fuoco.

Interessante il rilievo dei mezzi che avrebbero potuto rallentare la propagazione e favorire la estinzione se fossero stati predisposti.

Interessante il riconoscimento della insufficiente sorveglianza dopo lo spettacolo.

Lo svolgimento delle manovre non offre particolarità, salvo l’entità dei mezzi che furono messi in azione per spegnere ed isolare.

Il Teatro è contiguo all’edificio dell’Archivio di Stato e a quello dell’Accademia Militare.

Nella Piazza Castello abbondano le bocche d’incendio predisposte, e di più la piazza è attraversata da un canale sotterraneo. Il primo attacco fu diretto al palcoscenico entrandovi al sottopalco, e contemporaneamente veniva effettuato il salvataggio della famiglia del custode al 3° piano mediante scala aerea.

Giungevano quindi i rinforzi dalla Caserma Centrale e dalla Caserma succursale del Lingotto con Pompieri di guardia, Pompieri fuori servizio e richiamati, e Militari del Corso Pompieristico, complessivamente 126 uomini con 7 autopompe ed una motopompa, con stendimento di mtl. 4.500 di tubi e n. 23 lance e due scale aeree.

Vennero iniziate le operazioni di isolamento col taglio del tetto verso l’Archivio di Stato e verso l’Accademia Militare.

Venne rinforzato il personale alla estinzione dell’incendio attaccando il fuoco anche dal cortile dell’accademia Militare dal quale si spinse anche una squadra a completare l’isolamento verso l’Archivio.

L’incendio fu spento verso le ore 4.

Il fuoco ha avuto inizio o sulla ribalta del palcoscenico o all’orchestra estendendosi sul palco stesso e nell’orchestra fino a raggiungere i palchi di proscenio. Il tiraggio era chiamato all’inizio verso la copertura in cemento armato del palcoscenico, immediatamente sotto alla quale erano disposte numerose finestre provviste di apertura automatica con fusibile.

Successivamente il tiraggio si è spostato verso la sala chiamato dal lucernario centrale i cui vetri avevano ceduto all’effetto del calore. La copertura della sala, in ferro, si è abbattuta su se stessa arrestandosi sui travi di ferro principali portanti.

I Pompieri Militari gareggiarono in perizia e sveltezza coi Pompieri Civici ed alcuni di essi rimasero leggermente feriti.

Il Teatro Regio era degno di una grande capitale europea come lo era Torino nel periodo. Venne costruito in tempi rapidissimi, con una spesa complessiva, enorme per quell'epoca, di Lire 822.606 lire. Aveva ben 139 palchetti distribuiti su cinque ordini, assegnati in base a gerarchie ben delineate in seno alla corte, con una capienza complessiva di circa 2500 posti…”

La sua ricostruzione, nonostante i buoni propositi, purtroppo dovette attendere non solo il passaggio della Seconda Guerra Mondiale, ma ancora gli anni ’50 e ’60.

Dopo diverse vicissitudini e a causa della recessione del dopo guerra, l’Amministrazione Comunale bandì un ulteriore concorso – il primo era del 1937 ma non ebbe fortuna – ritenuto più consono con il nuovo riassetto urbanistico della zona e con le mutate condizioni socioeconomiche, affidando il nuovo incarico all'architetto Carlo Mollino. I lavori iniziarono nel settembre del 1967.

Il nuovo Teatro Regio venne inaugurato il 10 aprile del 1973 con l'opera di Giuseppe Verdi “I vespri siciliani”.

Il Regio, oggi come allora, è uno dei maggiori teatri europei, sia per la qualità acustica, sempre oggetto di nuovi e periodici perfezionamenti, sia per le produzioni teatrali sempre di prima qualità.

 

Il Novecento

I due eventi appena segnalati, insieme a tanti altri che avvengono in diversi paesi tra il 1800 ed il 1900, fecero crescere la sensibilità al tema della prevenzione degli incendi, materia che nel corso dei secoli ha avuto alterne vicende.

A solo titolo di curiosità vale la pena ricordare che già nel 64 d.C. nella Roma dominata da Nerone in seguito all’incendio più disastroso che abbia mai toccato la città eterna furono dettate alcune prescrizioni antincendio

Roma prima dell’incendio era stata costruita senza piani regolatori ma cercando di sfruttare tutti gli spazi a disposizione, anche i più angusti. 

Per ordine dello stesso Nerone, invece, la ricostruzione avvenne in base a poche ma significative direttive generali. Innanzitutto vennero tracciati i percorsi delle strade principali stabilendone le dimensioni. Quindi venne imposto che le case (domus o insulae) adiacenti non avessero muri in comune, per evitare che fuoco e crolli potessero ripercuotersi direttamente sulle costruzioni confinanti. 

Fu imposto anche che gli edifici dovessero essere realizzati con meno legno possibile sfruttando pietre come quelle estratte dalle cave di Gabio per gli architravi sopra finestre e porte o i pilastri e venne istituito un servizio di sorveglianza al fine di garantire a tutti i luoghi della città l’arrivo di un quantitativo adeguato di acqua.

È nei primi del novecento, però, anche grazie al progresso tecnologico, che cominciarono a svilupparsi forme di prevenzione derivanti innanzitutto dall’esperienza degli addetti ai lavori, per lo più ingegneri degli uffici tecnici dei grandi comuni, che avevano avuto modo di studiare l’incendio e le forme migliori per prevenirlo sia nelle attività industriali, sia nei magazzini, nei laboratori, nelle sale cinematografiche, nei teatri quanto negli edifici di civile abitazione.

Sempre nello stesso periodo diversi Comandanti e Funzionari dei Corpi dei Pompieri si riunirono in un’associazione denominata “Federazione Tecnica Italiana dei Corpi dei Pompieri”, ed ebbero un ruolo attivo nella diffusione e nello sviluppo delle tematiche legate alla prevenzione degli incendi. La federazione, infatti, si impegnò molto nel processo di diffusione della cultura della prevenzione incendi, sia attraverso numerose pubblicazioni su periodici di allora, quali “Coraggio e Previdenza” e “il Pompiere Italiano”, sia in occasione dei celebri concorsi pompieristici cui spesso erano collegati seminari di studio e confronto di altissimo livello tecnico.

Una delle tematiche centrali del dibattito di quel tempo fu quella connessa alla sicurezza antincendio nei luoghi di pubblico spettacolo, in particolare nei teatri, dove l’incendio, sempre in agguato, spesso era non solo la causa di gravi danni al patrimonio artistico e architettonico, nonché economico, ma anche la causa di ingenti perdite di vite umane.

 

Scorrendo alcuni importanti articoli pubblicati nel secondo decennio del 1900 si ritrovano considerazioni molto attuali, come quella del citato Comandante Viterbi, il quale affermò: «che cosa sia la Prevenzione del Fuoco tutti lo sanno o per lo meno sono in grado di comprenderlo, ma non tutti sono convinti che essa serva proprio a qualcosa, che valga la pena occuparsene». Sempre Viterbi sosteneva che: «gran parte degli incendi che ordinariamente si sviluppano sono dovuti a disattenzione, imprudenza, pigrizia, dimenticanza, sbadataggine, insufficiente sorveglianza di se stessi e degli altri», tanto da fargli ritenere che: «il risarcimento dei danni da parte delle assicurazioni mitiga le conseguenze ma non compensa tutte le sinistre conseguenze. Infatti uno stabilimento industriale distrutto dal fuoco rappresenta l’arresto repentino delle attività, con inevitabili riverberi sull’imprenditore e sulle maestranze. Sotto questo punto di vista la prevenzione contro gli incendi interessa la collettività degli uomini e perciò può considerarsi come una branca non trascurabile dell’assistenza sociale. Per questo l’estinzione degli incendi è una cura dello Stato in quanto riguarda la pubblica incolumità». L’ing. Viterbi è ancora attuale quando afferma: «quante volte si legge sui giornali … le cause dell’incendio rimasero sconosciute… oppure le cause si attribuiscono ad un corto cortocircuito il solito corto circuito che si presta tanto bene ad avvolgere nel mistero le cause più strane e a volte anche le meno misteriose come l’imprudenza di chi non vuol confessare le proprie colpose responsabilità o addirittura dolo. Richiama con forza l’illusione dei molti che indotti da consiglio o sotto l’influenza della paura, si provvedono di mezzi di repressione del fuoco che accuratamente dispongono nei locali degli edifici che intendono difendere dagli incendi. Con ciò essi ritengono di essersi definitivamente premuniti. Senonché l’esperienza dimostra che al caso pratico più sovente di quanto si possa immaginare gli impianti di difesa non funzionano. Mancata sorveglianza o manutenzione, oppure chi sappia farli funzionari le cause».

 

Altra interessante pubblicazione venne fatta dall’ing. C. Albertini dirigente dell’ufficio tecnico del Teatro alla Scala di Milano. Albertini trattò un tema ancora attualissimo e cioè la valutazione dei rischi. Scrisse Albertini: «… l’applicazione pratica delle norme generali deve variare di caso in caso, differenti essendo le condizioni che presentano i singoli teatri, ed è tanto più importante considerare i dettami dell’esperienza e conoscere quali risultati abbiano dato nella pratica taluni provvedimenti che a priori si erano ritenuti efficaci. Qualche considerazione deve farsi al riguardo delle uscite, poiché non basta che siano predisposte numerose le bocche di deflusso del violentissimo fiotto umano che si forma in caso di pericolo. Occorre che il tecnico intervenga coi migliori accorgimenti perché l fiotto si distribuisca regolarmente alle varie porte di uscita… è pertanto necessario frazionare il deflusso del pubblico in modo che ogni scala, ogni porta abbia la propria competenza, per dire cosi, che ogni corridoio faccia defluire il numero di persone previste nel calcolo e non oltre».

L’ing. Albertini passa quindi in rassegna una serie di accorgimenti tesi ad evitare il panico e tra questi vi è il sipario metallico sul boccascena che serve ad evitare la vista dell’incendio dal pubblico in sala e quindi evitare il panico. Parla dell’ignifugazione dei legni del palco, degli avvisatori acustici per i pompieri di vigilanza, illuminazione di sicurezza, e grande importanza dà agli irroratori a pioggia o sprinkers.

La Federazione Tecnica Italiana dei Corpi dei Pompieri inoltre esortava con forza affinché il Comandante dei Pompieri fosse membro di diritto della commissione dei teatri di nomina prefettizia, in quanto lo stesso in occasione di incendio di teatro aveva la responsabilità, la cura e il dovere di limitare il disastro alle minori proporzioni possibili. Grazie sempre all’intensa attività della Federazione Tecnica, nel 1910 l’allora presidente del Consiglio dei Ministri Luigi Luzzati con grande lungimiranza, istituì un’apposita commissione per avviare lo studio di una legge che portasse alla costituzione di un corpo nazionale di pompieri, ritenendo necessario organizzare sia l’attività di soccorso e vigilanza sia quella di prevenzione in maniera uniforme sul regno. Il documento prodotto non ebbe fortuna e bisognerà attendere fino al 1935 quando fu emanata la legge 2472, con la quale si tentò di abbandonare l'organizzazione su base municipale dei servizi antincendi e si gettarono le basi per la nascita dei Corpi Provinciali. Successivamente, nel 1939, con il Regio Decreto 333, nacque il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e, infine, nel 1941 vennero fissati i compiti istituzionali e l'organizzazione territoriale del Corpo.

Intanto erano stati emanati a livello territoriale vari provvedimenti tendenti a dettare misure di prevenzione incendi tra i quali il regolamento del Governatorato di Roma sulle autorimesse e gli infiammabili, quello della prevenzione incendi del comune di Milano del 1927-28 e quello della provincia di Bari sui teatri, cinema e locali pubblici. Quello che appare chiaro è che nel corso dei primi decenni del novecento nelle grandi città: Milano, Napoli, Torino, Palermo, Bari si fanno strada le principali misure di sicurezza per prevenire e comunque limitare i disastri degli incendi che si possono riassumere in:

-     la separazione tra fabbricati con muri distinti e comunque il muro divisorio deve innalzarsi al disopra dei tetti di almeno 40-60 cm;

-     il numero e la distribuzione delle vie di esodo. Viene ad esempio proposto una scala ogni 300mq di tetto sia negli edifici di civile abitazione che in quelli commerciali ed industriali;

-     gli avvisatori di incendio;

-     l’attenzione alle canalizzazioni;

-     la compartimentazione ogni 7000mc;

-     i mezzi di spegnimento;

-     la vigilanza;

-     e soprattutto quella che oggi chiamiamo come gestione della sicurezza che si concretizza in sorveglianza, controlli e manutenzione.

I tecnici dei primi del novecento si posero anche il problema del panico indotto dall’incendio. Venne scritto: «… in primo luogo, sia detto, occorre considerare il pericolo del timor panico, pericolo più grande dove si abbia una forte agglomerazione di persone, pericolo ancora più grande quando il panico sia provocato da un incendio. Le misure per prevenire il panico possono essere di carattere costruttivo e di carattere psicologico e quindi si parla di distribuire le vie di esodo, di cercare un esodo per fasi, di nascondere il fuoco dalla vista nei teatri mediante il sipario in ferro».

Purtroppo la guerra e poi le esigenze di ricostruzione del dopo guerra affievolirono l’attenzione alla prevenzione incendi fino agli anni ottanta di cui posso dare testimonianza diretta.

 

Conclusioni

Ho iniziato il servizio nei Vigili del Fuoco a Torino, dopo il corso di formazione a Roma Capannelle, il 01/07/1981 scoprendo solo molti anni dopo che quella di corso Regina Margherita 128 era stata una delle prime se non la prima sede realizzata come “caserma appositamente destinata ai pompieri” oggi trasformata in ostello per giovani.

A quel tempo gli ufficiali, ossia i funzionari tecnici, svolgevano turni di servizio con orario 12/24-12/48 e come per tutto il personale, la funzione primaria alla quale ero chiamato insieme ai colleghi era quella del coordinamento del soccorso. A quel tempo erano il solo comandante, il vice comandante ed un paio di funzionari anziani a svolgere l’attività della prevenzione degli incendi. Un’attività tecnica, basata soprattutto sull’esperienza acquisita durante le operazioni di spegnimento degli incendi.

Per tutto il periodo degli anni ottanta le pubblicazioni sulla prevenzione non erano molto diffuse e anche le norme erano difficili da reperire. C’era la rivista Antincendio, qualche rivista locale, pochissimi libri. Sentivo da qualche amante di storia dei pompieri come Michele Sforza, parlare della “Federazione tecnica italiana dei corpi pompieri” cioè di un organismo composto da un ristretto gruppo di tecnici qualificati per il coordinamento e l’indirizzo tecnico-scientifico dei corpi pompieri d’Italia.

Non era un buon momento per i vigili del fuoco l’inizio degli anni ottanta. Il Corpo era passato dall’orario di lavoro 24 ore di lavoro e 24 di riposo al 12/24-/12/48 diminuendo di fatto il suo organico operativo. Si era anche passato ad un allargamento delle relazioni sindacali con disorientamento di una categoria dirigenziale poco incline al confronto ma più orientata al comando. Le risorse in termini di mezzi, equipaggiamento ed economiche erano veramente scarse.

I controlli di prevenzione incendi sulle attività erano notevolmente diminuiti cosi come l’attenzione sociale verso la sicurezza contro gli incendi e bisognerà aspettare le tragedie di Todi del 1982 e quella del cinema Statuto di Torino del febbraio del 1983 per risvegliare l’attenzione sul tema della prevenzione incendi e farla diventare parte importante del vivere civile. Ma questa è un’altra storia.

 

 

 

Autore

Ing. Cosimo PULITO