L'Incendio del Cinema Statuto
(Cosimo PULITO) -pubblicato su “Quaderni Storia Pompieristica” febbraio 2021
Era una fredda domenica quel 13 febbraio del 1983 ed il cielo era tinto di quel tipico grigiore dell’inverno Torinese. Una fitta nevicata impolverava una città ancora piena di industrie ed immersa nella terribile esperienza degli anni di piombo.
Nella memoria rimangono tracce di quei momenti che spesso si ripresentano alla mente come le foto di un vecchio album.
Quando accadde l’incendio, intorno alle ore 18, ero nella mia abitazione, un alloggio sito nelle vicinanze del cinema.
Fui chiamato dalla sala operativa del Comando e dopo pochi minuti ero al cinema Statuto in via Cibrario 16-18. C’era un continuo arrivo di automezzi, soprattutto APS, ABP dei Vigili del Fuoco ma anche auto delle forze dell’ordine e del soccorso sanitario. Le squadre dei Vigili del Fuoco cercavano di penetrare nel locale da più punti secondo tecniche già sperimentate per “attaccare l’incendio”. Alcuni cercavano di entrare da via Cibrario, altri da via delle Chiuse ma il forte calore ed il fumo nero e spesso faceva una dura opposizione.
Si avvertiva, nella frenetica attività di soccorso, la sensazione, immediatamente diffusasi, che nel cinema si era consumata una tragedia immane. Gli ordini furono pochi e l’afflusso di mezzi e uomini fu continuo fino alle ore 21. Man mano che si scoprivano i morti, prima sulla scala di comunicazione tra platea e galleria e poi nella galleria, alcuni ancora seduti senza aver avuto la possibilità di rendersi conto di quanto avveniva, altri addossati alle uscite di sicurezza che non si erano aperte, si faceva sempre più chiaro il dramma che si era abbattuto su tante famiglie. I gas tossici, ad elevata concentrazione, erano stati così rapidi nel provocare la morte che ogni tentativo di fuga era stato vano. Poco dopo furono trovate altre vittime nel bagno, un piccolo locale dove si era tragicamente consumato l’inutile tentativo di respirare da una piccola finestra munita di inferriate. Un’autorimessa di un’azienda di autonoleggio, accanto al cinema, fu trasformata in camera ardente e sul pavimento furono le vittime, l’una accanto all’altra. È un’immagine che nel corso di questi anni, talvolta all’improvviso, magari in una notte d’insonnia, si ripresenta vivida nella mente.
Alle urla di dolore e disperazione dei famigliari che man mano accorrevano si sommava il senso di tristezza e mestizia che aveva pervaso un po’ tutti i soccorritori presenti: non avere la possibilità di salvare almeno una vita è per i soccorritori la peggiore delle sconfitte.
Più volte, in seguito, per tentare di capire quello che era accaduto, tornai a vedere quel cinema, quella scala e quel bagno in cui erano furono trovate tante vittime. Una tragedia che si era determinata per un concorso di cause: l’impianto elettrico difettoso, materiali di arredo senza caratteristiche di reazione al fuoco, uscite bloccate, gestione sbagliata dell’evento.
Ricordo che durante le operazioni di soccorso, a causa di un malinteso, si era diffusa la notizia che ci sarebbe stata ancora una persona viva tra le vittime che poteva essere soccorsa ma che presunti ordini della Magistratura di non muovere nulla lo aveva impedito. Non era vero, come confermarono i medici e la successiva inchiesta dei magistrati. Quella notizia che circolò in maniera maldestra creò in una parte dell’opinione pubblica una sorta di risentimento verso i Vigili del Fuoco che macchiò di rabbia quella triste vicenda.
Ricordo il turbinio di notizie, la loro diffusione e circolazione. Il lavoro dei giornalisti che cercavano, con percorsi propri, di dare spiegazioni e giustificazioni a quello che era avvenuto. Furono dette e scritte tante cose vere e tante sbagliate e la tragedia segnò anche l’avvio di un radicale cambiamento nella comunicazione.
Ricordo i funerali, imponenti, con la partecipazione del Presidente Pertini e di tanta parte della città e la decisione presa dal personale e dai sindacati dei Vigili del Fuoco di Torino di partecipare in massa a testimoniare ai parenti ed alla città di aver fatto, anche in quella occasione, il proprio dovere. Eravamo in tanti, più di duecento vigili del fuoco che con la divisa di intervento (il nomex arancione) presidiammo un lato della scalinata della cattedrale.
La prima reazione alla tragedia, che colpì profondamente non solo la città e la nazione ma anche la comunità internazionale e che si poneva a soli dieci mesi di distanza dall’altro grave incendio avvenuto a Todi il 25/04/1982, dove perirono 39 persone, fu quella della Magistratura che oltre a ricercare le cause ed i colpevoli pose il problema dell’efficacia dei controlli.
Alcuni pretori del lavoro di Torino (eravamo in un periodo in cui ancora non era stato emanato il nuovo codice di procedura penale per cui lo stesso magistrato ricopriva il ruolo di pubblico ministero e di giudice) in una storica riunione che avvenne in corso Regina Margherita, nella nuova sede dei vigili del fuoco, richiamarono con severità i doveri che ricadono su chi è preposto al controllo, sia sotto il profilo amministrativo sia sotto quello penale.
La stessa Magistratura, in altre sedi, richiamò con forza gli atti conseguenti di cui si sarebbero dovuti far carico le autorità Amministrative a seguito delle segnalazioni dei controllori.
Ricordo che da allora l’attività integrata tra i vari soggetti pubblici che in qualche modo partecipavano al sistema dei controlli subì una trasformazione, diventando penetrante, pervasiva e repressiva. Fu quello il vero cambiamento e non, come si disse, l’emanazione di nuove e più severe norme: non è la severità della norma che fa la sicurezza quanto il grado della sua applicazione.
E ‘utile anche ricordare che, come spesso è accaduto anche in altre occasioni della storia del nostro Paese, l’attività di controllo in un primo tempo fu accolta con favore e con un largo consenso sociale ma con l’andare del tempo fu vista come ingombrante e di intralcio allo sviluppo economico generando un marcato senso di ostilità.
Dopo quel lontano 1983 mi è toccato partecipare a tante altre tragedie che hanno colpito Torino, il Piemonte ed altre parti della nostra Italia e che sono state fonte di insegnamento.
In occasione di queste tragedie mi sono ripetuto sempre le stesse domande: è stata negligenza, sono stati commessi errori, superficialità, incuria, modelli culturali sbagliati, assenza di norme, mancanza di controlli? Non c’è mai una risposta che possa essere esauriente.
Alcuni convincimenti però sono maturati nel tempo. Intanto le conquiste di civiltà, quale è anche quella della sicurezza contro gli incendi, non sono mai definitive ma devono essere rinnovate nel tempo.
Nel nostro paese la sicurezza sul lavoro, di cui la sicurezza antincendio è parte, ha il suo fondamento nella Costituzione e la legislazione successiva ha cercato, anche attraverso la sanzione penale, di dare forza alla prescrizione normativa.
Sono norme che avevano ed hanno come oggetto di tutela il mondo del lavoro. E’ grazie a queste norme ed alle interpretazioni giurisprudenziali di una parte intelligente e sensibile della Magistratura che la sicurezza antincendio ha trovato la forza di imporsi anche in altri settori della vita civile assumendo quindi la giusta rilevanza.
Mi sono inoltre convinto che la sicurezza ha significato quando il lavoro ha significato, quando al lavoro si dà dignità e rispetto; la sicurezza difende questa dignità e questo rispetto, diversamente diventa solo un costoso orpello.
Sono anche profondamente convinto che la prevenzione è sempre conveniente, principalmente perché contribuisce a ridurre il tributo di vite umane e poi perché permette di ridurre i costi socio-economici che comportano i disastri.
I benefici della prevenzione non sono immediatamente spendibili né contabilizzabili nel bilancio di un’azienda, lo sono però nell’economia complessiva del corpo sociale e nella tenuta di quegli equilibri che legano una comunità.
Da diversi anni c’è, soprattutto da parte delle organizzazioni imprenditoriali, una forte domanda di semplificazione e snellimento delle procedure e degli oneri regolatori sia per abbattere i costi sia per velocizzare le procedure per avviare un’impresa. Tanto è stato fatto. Dopo la tragedia del cinema Statuto si iniziò un percorso riformatore nel settore della sicurezza con la legge 818/1984, poi con la legge 46/90 sugli impianti, con il decreto legislativo 626/94 per arrivare all’introduzione della “Segnalazione Certificata di Inizio Attività – SCIA” che consente l’avvio di numerose attività senza la necessità di complicate autorizzazioni preventive ed all’emanazione del codice di prevenzione incendi che ha visto il passaggio da norme rigide e prescrittive a norme valutative e prestazionali che meglio si adattano alle variegate situazioni costruttive.
Si è quindi definito un nuovo sistema regolatorio più moderno che per dispiegare i suoi effetti positivi ha bisogno di una forte consapevolezza sociale sul ruolo della sicurezza (safety), di professionisti preparati, di imprese serie e di controlli sistematici ed efficaci.
Autore
Ing. Cosimo Pulito